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Regime APT: conosciamolo per evitarlo!

Pubblicato: 31 gennaio 2014 da mallamacidaniele in democrazia, diritti, Economia, Europa, politica, trasparenza
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di Fabrizio Biolé
In due ne discutono; pochissimi rappresentanti di livello internazionale ne parlano; sulla punta delle dita, a livello mondiale, si contano i giornalisti indipendenti che abbiano la competenza, le informazioni, il coraggio e l’autorevolezza per divulgarne le potenziali nefaste conseguenze. Tra questi la più attiva, la dottoressa Lori Wallach, direttrice di www.citizen.org.

Si tratta del temibile Accordo sul Partenariato Transatlantico (abbreviato in APT oppure TTIP), un insieme di misure che dovrebbero essere messe nero su bianco in un Trattato internazionale vincolante entro il 2015 e che riproporrebbero, moltiplicandole all’ennesima potenza, tutte le conseguenze negative che, a livello europeo, erano contenute nella versione originale della Direttiva Bolkestein, già di per sè in parte disarmata prima della sua versione definitiva, grazie soprattutto agli allarmi ed alle azioni di informazione svolte da alcune associazioni e movimenti “sul pezzo”, come ATTAC.

In sintesi, nascondendosi dietro uno smalto di virtuosi promotori dell’incremento di occupazione – sul sito della Commissione Europea si azzarda addirittura la stima di centinaia di migliaia di posti di lavoro in più – e dell’ampliamento del valore delle economie europea, statunitense e mondiale – con stime di aumento rispettivamente di 120, 90 e 100 miliardi di euro –  Michael Froman, Delegato al Commercio per gli USA, e Karel de Gucht, Commissario Europeo al Commercio, stanno negoziando, a partire dal luglio scorso, per giungere all’elaborazione di un trattato intercontinentale e sovragovernativo che sancisca la totale liberalizzazione degli scambi economici di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti.
Tutto questo, come è facile intendere, a scapito delle tipicità dei prodotti, dei diritti di lavoratori e consumatori, della prossimità dei rapporti umani e ad unico ed enorme vantaggio dei grandi capitali, delle multinazionali, del profitto della finanza globale.

Ma quel che forse è ancor più grave è che se un singolo stato, in regime di TTIP, tentasse di sottrarsi all’omologazione al ribasso degli standard di sicurezza, equità o sostenibilità oppure osasse porre in atto misure di tutela di servizi, prodotti, lavoratori, salute e ambiente, contravvenendo alla totale liberalizzazione, incapperebbe in un meccanismo di forzato adeguamento e di milionarie sanzioni e risarcimenti a favore dell’eventuale multinazionale querelante!

Chi sa, in un momento di fase transitoria come la presente, che cosa possa essere davvero considerato per il nostro Consiglio Regionale, come “indifferibile ed urgente”?
Certo: i provvedimenti di bilancio che in questi giorni stanno prendendo faticosamente forma tra commissioni e aula rientrano nel nòvero.
Fatto sta che una discussione sul cambiamento storico e devastante come quello che si avrebbe con l’improvvida entrata in vigore del Trattato di partenariato transatlantico, a partire dalla macroeconomia di scambi tra il vecchio e il nuovo continente e, a cascata, fino alle economie nazionali, regionali e locali in cui circolano prodotti e servizi essenziali per i cittadini – insieme con antichi saperi e filiere tradizionali – non può nè deve essere rimandata, nè dentro nè fuori le istituzioni, a prescindere dalla legittimità sub judice che queste possano temporaneamente avere.

Per questo sto per depositare un atto in Consiglio Regionale in tema APT/TTIP che possa, mi auguro, trovare un momento dedicato ad essere trattato in modo approfondito e con tempi congrui e suggerisco contestualmente a tutti i piemontesi (poichè tutti, come cittadini, utenti e consumatori ne siamo direttamente interessati) di seguire la discussione sull’argomento nei rari momenti di approfondimento extra-istituzionali, a partire dall’importante incontro pubblico di mercoledì 29 gennaio alle 21 presso il caffè Basaglia a Torino, organizzato da Attac e poi tenendosi aggiornati, magari tramite la mailing list dell’Associazione stessa.

Istruzione, informazione e consapevolezza sono le armi più potenti che un cittadino possa avere, insieme con la condivisione e il mutuo aiuto: usiamole quotidianamente!

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https://i0.wp.com/coc.ilcannocchiale.it/mediamanager/sys.user/13174/ipocrisia.jpgdi Fabrizio Biolé

Negli ultimi giorni, determinanti per la definizione delle misure legate alla Legge di Stabilità 2014 – che è poi stata blindata antidemocraticamente sotto il voto di fiducia – si sono alzati i toni di discussione sulle necessità ormai non più procrastinabili per il mantenimento, la tutela ed il rilancio della linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia-Nizza. E in particolare: entusiaste quanto fuorvianti affermazioni arrivano dall’assortito manipolo di eletti cuneesi del Partito Democratico (ma solo a comando, cioè se qualcuno critica con prove provate l’assenza di misure sulla Cuneo-Nizza all’interno della stessa Legge di Stabilità 2014); attenzioni ad intermittenza si è rivelata quella del Senatore Andrea Olivero ex Scelta Civica (con un emendamento presentato in commissione e non ripresentato in aula del Senato, nonostante l’impegno preso in tal senso con il Comitato Ferroviario e i 20.000 cittadini firmatari); l’unica rappresentante cuneese in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. la Deputata Fabiana Dadone ha preso a cuore l’istanza, subendo dapprima una decisione di suoi colleghi del Senato e però portando a casa una tardiva quanto inequivocabilmente negativa risposta del Ministro Maurizio Lupi.

Enrico Costa e Michelino Davico, rappresentanti cuneesi rispettivamente in Camera e in Senato hanno da par loro esercitato un silenzio roboante e vergognoso.

Solitamente per poter oggettivamente definire i termini di uno scambio di vedute è necessario partire da dati certi e fatti oggettivi, e così intenderei fare in questo mio breve scritto, con cui intendo stimolare commenti e risposte:

– Nonostante nella fase di discussione nelle due commissioni bilancio della “Legge di Stabilità 2014” e della Legge sulle risorse urgenti agli enti locali siano stati depositati almeno tre emendamenti (uno a firma Olivero-Manassero, uno a firma Gribaudo-Taricco e uno a firma Scibona et alii) che impegnassero ad allocare le risorse necessarie alla manutenzione straordinaria della linea (quantificate in 29 milioni di euro), nessuno di questi è stato accolto dal Governo, smentendo le dichiarazioni ufficiali del Ministro Maurizio Lupi pubblicate su La Stampa del 29 novembre scorso.
– Nonostante ben due atti di indirizzo in tema siano stati approvati negli ultimi dieci giorni in fase di discussione delle due leggi menzionate (uno presentato dal PD ed uno dal Movimento 5 Stelle), per ottenere un commento da parte dei firmatari è stranamente stata necessaria un presa di posizione forte da parte di comitati e cittadini, forse perchè, come impara il primo giorno di attività chiunque si avvicini ad un consesso elettivo: “un ordine del giorno non si nega a nessuno”… La costante e ordinaria inutilità e inefficacia di atti di indirizzo come gli “ordini del giorno” è stata peraltro sottolineata in un recentissimo intervento in tema di Legge di Stabilità niente meno che dal Viceministro dell’Economia Stefano Fassina, quando a verbale afferma: “(…) Potevamo esprimere parere favorevole su tutti gli ordini del giorno, tanto sapete poi le conseguenze che hanno in generale (…)”.
– Nonostante dunque nel testo licenziato della Legge di Stabilità non sia presente alcun accenno all’impegno dei 29 milioni per la linea, altre infrastrutture e comparti hanno ottenuto provvedimenti precisi, a partire dai 50 milioni per due anni per la tratta ferroviaria Cancello-Frasso in Campania, dall’impegno esplicito per la Termoli-San Vittore, dai quasi dieci milioni per il servizio navale sullo stretto di Messina,o dai 300 milioni di euro per il comparto dell’autotrasporto, tanto per citarne alcuni.
– Molti dei protagonisti parlamentari citati – dei gruppi PD, SCpI, NCD e LNP – tengono una posizione peraltro rigida e ottusamente dogmatica sulla necessità della linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ferrovia inutile e devastante per il cui primo lotto – la cosiddetta “galleria di base” – sono previsti investimenti superiori agli otto miliardi di euro, la medesima cifra totale spesa nei quasi novant’anni di vita della linea Cuneo-Ventimiglia-Nizza (fonte: A. Levico “Vermenagna e Roya. Le valli delle meraviglie” ed. Primalpe 2007). I medesimi Deputati e Senatori avallano e sostengono peraltro pure la spesa di ottantamila euro giornalieri a partire dal 27 giugno 2011 per la guardianìa del primo cantiere della stessa – istallato nel territorio di Chiomonte (TO); più di settanta milioni di euro totali spesi ad oggi, cioè più del doppio delle risorse necessarie per la stessa manutenzione straordinaria della Cuneo-ventimiglia- Nizza per sorvegliare per due anni e mezzo l’equivalente di un fortino militare in cui i lavori effettivi sono partiti da poche settimane.
– Molti dei protagonisti di cui sopra hanno perlatro avuto ruoli di governo a vari livelli nel recente passato senza, a quanto mi risulta, sollevare mai pressanti istanze sulla necessità di interventi manutentivi sulla linea, grazie ai quali il precario stato della stessa, che ha spinto al rallentamento dei convogli da metà dicembre 2013 e che richiede per essere risolto i famosi 29 milioni di euro, avrebbe potuto magari essere affrontato con tempistiche e attività prolungate nel tempo, prima dell’odierna emergenzialità (tra gli altri: Patrizia Manassero fu nella Giunta del Comune di Cuneo, Giacomino Taricco nella Giunta della Regione Piemonte, Chiara Gribaudo in maggioranza – e poi in Giunta – nel Comune di Borgo San Dalmazzo).

– In un periodo in cui si rende necessario definire politiche trasportistiche mirate e razionali che sopra tutto garantiscano il diritto basilare alla mobilità, larga parte dei rappresentanti cuneesi nelle due Camere del Parlamento – con la positiva eccezione di Fabiana Dadone – sottolinea a ripetizione, come prioritarie per la mobilità della Granda, infrastrutture insostenibili, altamente impattanti e costosissime: in primis l’insensato e superfluo aeroporto di Levaldigi – più di 50 milioni di euro pubblici investiti dalla sua nascita e la produzione di perdite annuali di un milione e mezzo di euro di media, parametri di sostenibilità che resteranno per sempre un miraggio e una rinnovata concorrenza non dichiarata con Torino-Caselle; in secundis l’insensato, inutile e devastante lotto 1.6 dell’autostrada Asti-Cuneo, con la sua cancellazione di sessanta ettari di terreno fertile per la prosecuzione di una bretella autostradale che ha una soglia di traffico venti volte inferiore alla media nazionale, e una spesa di ventimila euro al metro lineare, venti milioni di euro al chilometro, centocinquanta milioni di euro totali!!! E’ necessario commentare?

hypocrisydi Fabrizio Biolè

Per il 2 giugno 2013, Festa della Repubblica Italiana nata nel 1946 dalla Resistenza, l’associazione “Libertà&Giustizia” organizza l’iniziativa “Non è cosa vostra”: a Bologna, in Piazza Santo Stefano, Gustavo Zagrebelsky, Salvatore Settis, Antonio Ingroia, Gherardo Colombo, Diego Novelli, Pippo Civati, Pancho Pardi, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Susanna Camusso, Nando Dalla Chiesa, Roberto Saviano, Paolo Flores d’Arcais, Davide Mattiello, Nichi Vendola e molte altre personalità della cultura, della politica e della società italiana si ritroveranno insieme per “rinnovare un atto di fedeltà alla Costituzione”.
Condivido lo spirito della proposta; condivido il contenuto dell’appello; condivido la finalità della mobilitazione; tuttavia, aderirò con convinzione all’iniziativa promossa da “Libertà&Giustizia” solo se i promotori filtreranno nettamente l’adesione – già ufficializzata sul sito dell’evento- estromettendo chi, nella veste di rappresentante del popolo italiano, ha votato la modifica costituzionale che già ha cambiato l’impianto della Carta e ben più di quanto, in prospettiva, potrebbe fare la cosiddetta “Convenzione”: la modifica dell’art. 81, che ha introdotto nella legge fondamentale della Repubblica il vincolo del pareggio di bilancio, mettendo così in discussione i principi fondamentali contenuti nella sua prima parte.
Tra marzo e aprile 2012, su pressione del governo Monti, del Presidente Napolitano e della “Troika”, il Parlamento ha votato a favore dell’imposizione di un parametro economicistico, neo-liberale e tecnicista con cui l’esercizio della sovranità in materia di bilancio (cioè il potere di decidere quando, come e quanto spendere a garanzia della tenuta del “patto sociale”) è stato trasferito dalle 120 milioni di mani del popolo italiano a quelle della élite dei proprietari delle azioni di banche, fondi e multinazionali, primi responsabili della crisi in atto.

A causa di tale norma, l’erogazione dei servizi fondamentali ai cittadini italiani – al pari di quelli di Grecia, Portogallo, Spagna e molti altri in Europa e nel mondo – è sempre più ignorata, ridimensionata ed eterodiretta.
Ancora, il pareggio di bilancio è l’alibi strumentale all’élite della banco-finanza internazionale per privatizzare ogni nostro bene comune (la salute, la scuola, l’acqua, i rifiuti, l’energia, il territorio…), senza che né le istituzioni, né i cittadini possano opporsi a tale esproprio – evidentemente illegittimo, ma formalmente legale – delle risorse essenziali alla vita.

Per queste ragioni, pur apprezzando l’iniziativa di “Libertà&Giustizia” e il suo manifesto ispiratore, ribisco che aderirò alla giornata ed all’iniziativa solo se dal pubblico elenco dei sostenitori saranno estromessi i nomi di chi nelle sedute della Camera dei Deputati del 6 marzo 2012 e del Senato del 17 aprile 2012 hanno avallato la modifica dell’art. 81 della Costituzione italiana, che ha introdotto il vincolo del pareggio di bilancio:
– Giovanni Bachelet, Partito Democratico
– Rosy Bindi, Partito Democratico
– Antonio Borghesi, Italia dei Valori (già co-firmatario del ddl)
– Felice Casson, Partito Democratico
– Paolo Nerozzi, Partito Democratico
– Sandra Zampa, Partito Democratico

codici identificativi forze poliziadi Fabrizio Biolé
Durante la discussione della proposta di legge al Parlamento numero 260 da me sottoscritta, in merito all’apposizione dei codici identificativi sulle divise delle Forze dell’Ordine, abbiamo assistito alla fiera delle banalità strumentalizzanti!

Un centro destra ad assetto variabile che, confondendo lo spirito di una legge generalista con episodi puntuali e precisi e talmente recenti da non aver avuto il tempo di analizzarli, vota no a prescindere dal merito della discussione.

Un Pd che adduce motivazioni raffazzonate e ipocrite per giustificare la propria non partecipazione al voto: il partito che ha la maggioranza relativa pur risicata a livello nazionale, e che, volenti o nolenti, esprime l’attuale Presidente del Consiglio ha deciso di non esprimersi per manifestata “…incompetenza…” (Gariglio).

Bruttissima pagina di Consiglio, con una sola conseguenza: il Consiglio Regionale, per la seconda volta a stragrande maggioranza ignora una ufficiale e perentoria richiesta compresa nel comma numero 192 della Risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea!

carceredi  Gruppo Consiliare Progetto Partecipato

Il IX Rapporto dell’associazione Antigone sulla situazione carceraria in Italia è a dir poco allarmante! Nel 2012, le prigioni italiane hanno registrato un ulteriore incremento del costante fenomeno del sovraffollamento, il cui tasso è attualmente del 142,5% (contro una media europea del 99,6%): a fronte di una capienza regolamentare di 45.742 posti, infatti, nei 206 penitenziari del Paese sono rinchiusi 66.675 detenuti. Di questi, il 40,1% è in custodia cautelare, ovvero non ha ancora ricevuto una condanna definitiva.

Ad esser incarcerati sono soprattutto esponenti delle popolazioni più povere che abitano sul suolo italiano: maschi italiani di origine meridionale (più del 60% del totale della popolazione carceraria) e maschi di origine straniera (circa il 35%, percentuale tra le più alte d’Europa).

Inoltre, nonostante la Costituzione sancisca la funzione rieducativa della detenzione, in carcere oggi si continua sia a morire (93 i detenuti morti in prigione quest’anno, di cui 50 per suicidio, uno per sciopero della fame e 31 per “cause ancora da accertare”), sia a restare sempre e solo dietro le sbarre (in media per 20 ore al giorno, sebbene le 4 ore d’aria siano ovunque soggette a restrizioni crescenti relative alla quantità e qualità del tempo concesso al detenuto per uscire fuori dalla propria cella).

Per di più, Antigone registra numerosissimi casi di detenuti a cui sono negati diritti basilari, tra i quali quelli alla salute ed a non esser trasferito arbitrariamente lontano dai propri affetti.

La Costituzione prevede pure il reinserimento sociale del carcerato che ha scontato la sua pena: eppure, il 68% dei detenuti è recidivo. Significativo infine il dato relativo ai suicidi tra gli agenti carcerari: 68 tra il 2000 e il 2012.

La regione Piemonte rientra nella media delle regioni italiane, pur presentando alcune peculiarità virtuose: tra le tante ricordiamo il progetto del birrificio presente all’interno del “Rodolfo Morandi” di Saluzzo, gestito dalla cooperativa “Pausa Caffè”, che vede impegnati alcuni ospiti con contratto diretto con la cooperativa e che ha negli anni incrementato la propria produzione, fornendo birre di altissima qualità, grazie all’abnegazione e alle competenze del mastro birraio Andrea Bertola e alla collaborazione con gli educatori presenti nella struttura.

La situazione è comunque molto grave e tale da richiedere un intervento strutturale urgente e rinnovatore del legislatore nazionale, proprio nel momento in cui il legislatore regionale tenta di cancellare con un colpo di spugna l’istituzione del “Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive delle libertà personale”. E’ infatti giacente in Consiglio Regionale la proposta di legge numero 188, che, tacciando le piccolissime risorse necessarie per la figura del garante, di “spreco” sta spingendo per un arretramento del Piemonte, prima Regione ad istituirlo, pur non avendolo mai nominato!

Dal canto suo, a causa di questo status quo, la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per trattamenti disumani e degradanti.

Al fine di cambiare le leggi criminogene all’origine del problema, un gruppo di associazioni ha lanciato un appello per la raccolta firme atta a depositare tre proposte di legge d’iniziativa popolare per:

          modificare la legge sulle droghe

          affermare la legalità nelle carceri così rispettando la carta costituzionale

          introdurre nel codice penale il reato di tortura

La prima proposta muove da un dato: ogni anno, in Italia circa 28.000 fra consumatori e piccoli spacciatori sono incarcerati per reati connessi in violazione della normativa antidroga (la cosiddetta legge  “Fini-Giovanardi”) e 15.000 tossicodipendenti hanno subito dei passaggi nelle patrie galere: metà della popolazione carceraria, quindi ha a che fare con la legge sulle droghe. Depenalizzare il consumo di droga e ridurre l’impatto penale della normativa in materia è dunque un primo passo fondamentale per ridurre il sovraffollamento nei penitenziari del Paese.

La seconda legge si adopera per introdurre nel nostro ordinamento al figura del Garante nazionale dei detenuti, (proprio nel momento in cui la nostra Regione lo vuole abolire), la conversione della pena nel caso di mancanza di posti disponibili nelle carceri con l’istituzione di cosiddette liste d’attesa, insieme con modifiche alla recidiva, ai benefici ed alle pene alternative.

La terza legge, infine, colma un vuoto legislativo intollerabile, con una proposta ormai non più procrastinabile, visti anche i numerosissimi casi di violenza su fermati, arrestati o carcerati che hanno negli ultimi anni riempito le cronache giornalistiche. Un passo verso l’umanizzazione di un paese che si professa democratico, ma che nei fatti spesso dimostra esattamente il contrario.

Le leggi sono sottoscrivibile da qualunque cittadino italiano maggiorenne; informazioni, date e luoghi per dare il proprio contributo le trovate sul sito ufficiale della campagna. Da par nostro cercheremo di supportare fattivamente questa battaglia di civiltà!

Alcuni interessanti appuntamenti della prossima settimana:

Sabato 13 aprile: in bici per dire NO alla violenza a Cuneo

Sabato 13 aprile: energia, salute e autodeterminazione a Paesana (CN)

Domenica 14 aprile: emergenza democratica in Val Susa a Grugliasco (TO)

Giovedì 18 aprile: Quale futuro per i CRAS regionali? a Grugliasco (TO)

Giovedì 18 aprile: Pirogassificatori, ambiente, salute a Genola (CN)

Venerdì 19 aprile: presentazione del libro Binario Morto al centro Sereno Regis – Torino

di Fabrizio Biolé

L’Aeroporto di Cuneo – Levaldigi, rinominato recentemente “Alpi del Mare”, nasce negli anni ’60, quando viene costituita la GEAC SpA, la Società di Gestione partecipata da enti locali, commerciali ed economici per il rinnovamento di quello che era un semplice campo di aviazione. Dalla fine degli anni ‘80 lo scalo è stato aperto al traffico commerciale nazionale e nel 1990 a quello turistico internazionale.

In occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 l’aeroporto ha poi acquistato formalmente il ruolo di secondo scalo torinese, grazie ad una cospicua iniezione di risorse pubbliche che ha sanato i debiti pregressi coprendo il buco di circa otto milioni di perdita d’esercizio dell’anno precedente.

Nonostante questo e nonostante l’aumento relativo di traffico che si attesta su risultati a due cifre da ormai qualche tempo, il risultato d’esercizio risulta comunque negativo nell’ordine di circa un milione e mezzo all’anno.

I principali soci di Geac sono la Provincia di Cuneo, la Camera di Commercio di Cuneo, che nella persona del suo Presidente Ferruccio Dardanello ha da sempre rappresentato il principale fautore della strategicità e dell’importanza dello scalo, e la Regione Piemonte tramite Finpiemonte Partecipazioni, più le municipalità principali della Provincia di Cuneo.

Nel 2012, nonostante i numeri fallimentari, lo scalo è rientrato nel novero dei cosiddetti “strategici”, a supporto di Caselle, all’interno del piano nazionale elaborato dal Ministero dei Trasporti. Secondo quest’ultimo, però, per Cuneo – Levaldigi deve essere verificata al sua condizione di progressiva sostenibilità economica, con l’eliminazione dei trasferimenti di risorse pubbliche, il coinvolgimento crescente di soci privati e, in mancanza di risultati positivi, l’effettiva chiusura.

Lo scalo resta tuttora in una fascia di passaggi annuali che lo rende non sostenibile presentando la metà delle utenze ritenute necessarie per Enac: almeno 600.000 annue.

L’assessorato ai Trasporti della Regione Piemonte ha in seguito commissionato uno studio a KPMG per fornire analisi oggettive sulla prospettiva di crescita dello scalo in un’ottica di integrazione con l’aeroporto di Torino, al fine di stimolare lo stesso comune di Torino a rilevare parte delle quote di Geac, ma i risultati non ci sono stati.

In questo contesto l’azionista principale di Geac, la Provincia di Cuneo, ha da 4 anni chiuso i rubinetti, sia per impossibilità contabile che per le osservazioni pervenute da parte della Corte dei Conti, le quali rilevano il perdurare degli squilibri finanziari della società di gestione. In questi giorni, dopo mesi di inedia,  il Consiglio Provinciale di Cuneo ha seguito l’esempio del Comune di Alba, votando una delibera di cessione del 75% delle proprie azioni, prevedendo la redazione di un bando per la loro assegnazione.

L’interrogazione che ho presentato ed illustrato in aula all’Assessore Bonino rispetto all’urgenza di programmare l’iter per la chiusura dello scalo nasce dalla presentazione poche settimane fa, dell’“Atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo
aeroportuale“, che ufficializzata l’insostenibilità di alcuni aeroporti marginali, tra i quali Levaldigi, manifestando la necessità di chiudere il sostegno statale ad essi, per farli traslare sotto la totale responsabilità delle Regioni di appartenenza.

Purtroppo l’interrogazione non ha dato i suoi frutti, infatti le risposte, già sentite più volte, sono attendiste e vergognosamente non tengono conto della situazione delle casse regionali, pur in un contesto di spending review in cui sarebbe opportuno avere ben chiaro l’ordine delle priorità, nel quale un aeroporto che non risponde a parametri qualitativi, quantitativi e geografici non può assolutamente rientrare!

Nel complesso si stima lo scalo sia costato più di 50 milioni di euro totali di risorse pubbliche, il Presidente di Geac Pepino ha stimato durante la seduta della commissione bilancio della Provincia di Cuneo che la chiusura costerebbe circa 3 milioni totali.

E tenerlo aperto quanto ci costerà?

cinghdi Fabrizio Biolé

Mi allarma molto la notizia diffusa a partire da giovedì 7 marzo rispetto alle analisi effettuate su capi campione di cinghiali abbattuti nella nostra regione, e in particolare nel comprensorio della Val Sesia nel biennio 2012-2013.

Da questi dati risulterebbe una presenza dell’isotopo Cesio 137 all’interno dei tessuti di tali animali, con valori anche dieci volte superiori a quelli limite.

Per inciso, l”isotopo del Cesio 137 è stato pressochè inesistente in natura fino all’inizio dell’attività nucleare antropica, cioè i test sulle bombe nucleari; esso è un sottoprodotto della fissione nucleare artificiale con pochissimi usi pratici, in quanto ha buona capacità di reagire chimicamente ed è solubile in acqua, per cui risulta pericoloso in quanto poco controlabile.

A prescindere dalle cause che hanno determinato una dose così massiccia all’interni di un rapprersentante tipico della fauna selvatica piemontese come il cinghiale, credo sia assolutamente necessario non sottovalutare l’impatto che l’isotopo ha potuto potenzialmente avere per la sua presenza all’interno dei capi destinati all’alimentazione che sono appartenuti a battute di caccia da cui i campioni sottoposti ad analisi provengono.

Ritengo dunque essenziale che la Regione, come da proprio Statuto garante della salute e della sicurezza alimentare, faccia tutto quanto in proprio potere per valutare la situazione, pianificare provvedimenti all’altezza della sua gravità e, per quanto possibile, evitare l’ingresso dei eventuali altri capi contaminati all’interno della catena alimentare umana, oltre a concorrere alla comprensione della causa diretta, ipotizzata nella nube radioattiva proveniente dalla centrale di Chernobyl nei mesi successivi al tragico incidente. A tale scopo ho depositato immediatamente un’interrogazione urgente in merito (in allegato) in modo che la Giunta possa comunicarci repentinamente tutte le azioni poste in essere o previste per il prossimo futuro. E fughi soprattutto un dubbio: non si tratta per caso di esemplari importati recentemente proprio dalle zone del disastro, visti i valori così alti?

Sembra infine retorico, ma è doveroso ribadire ancora una volta che tutti gli accenni alla volontà politica o amministrativa di ritornare a proporre filiere elettronucleari di qualsivoglia importanza è assolutamente criminale e studi, analisi, dati scientifici, a volte quasi casuali, sugli effetti collaterali continuano anno dopo anno, giorno dopo giorno, a confermarlo!

CHI CI STA PER UNO SPAREGGIO?

Pubblicato: 13 dicembre 2012 da fabiole in Bilancio, Economia, Europa

bilanciodi Gruppo Consiliare Progetto Partecipato

Ça va sans dire, il primo governo non eletto nella storia della Repubblica italiana è anche il primo a non dimettersi, nonostante il rapido incancrenirsi d’una crisi di governo già conclamata da quasi una settimana ed infatti unanimemente e ripetutamente dichiarata come irrisolvibile.

A questo quadro di grave instabilità politica ed irresponsabilità morale, tra ieri ed oggi si è aggiunto un nuovo tassello: la formalizzazione da parte delle Camere dei Deputati e del Senato delle “dimissioni silenziose” del capo del governo Mario Monti.

In effetti, entrambe le Camere del Parlamento hanno deciso di sospendere de facto la propria attività legislativa, ad eccezione della imminente, cruciale approvazione della ”legge di stabilità” (ovvero la “finanziaria”), a seguito della quale Monti dovrebbe ufficializzare le proprie dimissioni recandosi secondo prassi a colloquio con il Presidente della Repubblica.

Concretamente, tale sospensione comporta che un certo numero di provvedimenti approvati dalla Camera dei deputati e in calendario al Senato non saranno da quest’ultimo né discussi, né votati.

Si tratta di uno stop importante, poiché alcune delle leggi il cui iter di approvazione ha improvvisamente imboccato la via del binario morto sono tra le più contestate del governo non eletto e non dimessosi, per esempio i provvedimenti relativi all’abolizione delle province e all’introduzione nella carta costituzionale dell’obbligo di pareggio per il bilancio dello Stato (per recepire il cosiddetto “Fiscal Compact”, ratificato l’estate scorsa dal Parlamento).

In particolare, la già avvenuta modifica dell’art. 81 della Costituzione per avere realmente effetto necessita dell’approvazione di un ulteriore disegno di legge “attuativo”, il cui testo è stato licenziato a larga maggioranza dalla sola Camera ed è attualmente in giacenza al Senato.

Tuttavia, oggi la riunione dei capigruppo ha deciso che il Senato non voterà il disegno attuativo.

Ciò significa che fin’ora nessun organo d‘informazione e nessuna forza politica seduta in Parlamento ha mai ritenuto opportuno segnalare e spiegare ai cittadini l’esistenza d’un ulteriore passaggio legislativo fondamentale per rendere operativo l’obbligo di quel pareggio di bilancio foriero di continui tagli a salari, servizi e pensioni: un passaggio che evidentemente nessun organo d’informazione e nessun partito avevano intenzione di complicare o bloccare.

Ciò significa che la prossima finanziaria (che sarà presentata in Senato mercoledì prossimo e quando approvata dovrebbe sancire la fine del (primo?) governo-Monti) potrebbe teoricamente essere riscritta senza tener conto del vincolo imposto dal nuovo art. 81 della Costituzione.

Ciò significa che dopo le elezioni del 2013, il futuro Parlamento avrà inevitabilmente tra i primi punti della sua agenda legislativa proprio il disegno attuativo del Fiscal Compact e potrà quindi decidere se rendere attuativo l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio oppure no, così vanificando il lavoro che negli ultimi mesi il governo non eletto e non dimesso ha solertemente compiuto per introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una delle costrizioni più anti-democratiche e recessive stabilite dal Fiscal Compact.

Ça va sans dire, considerata la prostrazione ideologica di tutti i partiti odierni al dogma del liberismo targato troika, c’è un solo soggetto politico in lizza per il sempre più vicino appuntamento elettorale che ha la possibilità e le qualità per adottare da subito come punto programmatico della sua prossima azione in Parlamento l’impegno a non far approvare e comunque votare contro il disegno attuativo del pareggio di bilancio: che non casualmente si definisce come un movimento, anzi come l’unico non-partito della competizione elettorale.

I candidati che tale movimento ha selezionato tramite lo strumento delle “parlamentarie” sono disposti ad assumersi questo compito? (dm)